Tratto da Bruno C. Gargiullo e Rosaria Damiani
Vittime di un amore Criminale, FrancoAngeli Editore, 2010
“L’immagine sacra e idealizzata della famiglia” (zona franca, piena di conflitti e pericoli), alla cui impermeabilità ha contribuito un moralismo falso ed ottuso, non può più identificarsi con una realtà, tipicamente umana, fatta spesso di costrizioni, abbandoni, prevaricazioni, intimidazioni, persecuzioni, violenze e dove, altrettanto spesso, viene meno la spontaneità, l’empatia, l’altruismo e la solidarietà. Per cui la famiglia, che per definizione dovrebbe essere la sede privilegiata delle relazioni affettive ed un punto di riferimento primario per i suoi componenti (accudimento, protezione, sostegno, vicinanza), può trasformarsi in un ambiente così carico di tensioni, ostilità e violenze (economica, psicologica, fisica, sessuale) da minare seriamente l’integrità psico-fisica (da un’ansia generalizzata a gravi disturbi di personalità) di coloro che ne fanno parte.
L’omicidio in ambito familiare è un fenomeno criminale che suscita particolare allarme sociale sia perché in esso coesistono fattispecie delittuose a danno di un congiunto (infanticidio, uxoricidio, parricidio), consumate tra le mura domestiche, sia per la crescente diffusione nel nostro Paese.
Purtroppo, fra le varie tipologie di delitti che vengono quotidianamente commessi, il crimine domestico (l’uccisione di un soggetto per mano di un congiunto, di un convivente o di un familiare) è drammaticamente diffuso sia in Italia che nel resto del mondo.
Vale la pena ribadire, prima di proseguire, che tra i delitti familiari non rientrano solo la violenza fisica, la violenza sessuale e l’omicidio, ma anche, ad esempio, l’abuso psicologico-emozionale, i maltrattamenti e le deprivazioni economiche.
Comunque, per restare nell’ambito della prospettiva tipologica che stiamo esaminando, emerge da un primo esame che il forte coinvolgimento emotivo (gelosia, possesso, rabbia, frustrazione, dipendenza, ansia abbandonica, ecc.) è uno degli elementi che sono alla base della conflittualità relazionale, causa frequente, a sua volta, di comportamenti delittuosi. Ma per meglio rappresentare questo tipo di crimine è stato necessario svolgere un’attenta analisi delle dinamiche motivazionali e delle caratteristiche comportamentali “rintracciate” nella letteratura internazionale esaminata (Websdale N., 1999; Johnson M.P., Ferraro K.J., 2000; Walker L.E., 2000; Pinard G.F., Pagani L., 2001; Turvey B., 2001; Douglas J.E. et al., 2006). Per cui, si propone una classificazione tipologica di tale reato, differenziandolo in:
– passionale, agito in preda ad una gelosia patologica; per una perdita di controllo, conseguente ad un tradimento; per una ossessiva idea di possesso;
– rancoroso, quale manifestazione di una forte ostilità covata nel tempo nei confronti del partner. L’omicidio è l’ultimo atto di una relazione affettiva fortemente conflittuale;
– esplosivo, quale espressione improvvisa e violenta di uno stato di alterazione psicopatologica conseguente sia ad abuso di sostanze che a psicosi, depressione e disturbi di personalità (es., antisociale, narcisista, borderline);
– strumentale, dettato da fini prettamente utilitaristici (ad es., interesse e/o denaro);
– altruistico, associato o meno al suicidio, attuato allo scopo di porre fine alle sofferenze del partner;
– vendicativo, quale esito drammatico di una separazione burrascosa, vissuta dall’omicida come una grave ingiustizia (es., depauperamento economico, precarietà abitativa, perdita del ruolo genitoriale);
– accidentale, quale conseguenza o di gravi forme di violenze fisiche o di sesso estremo (es., masochismo, bondage, ipossifilia);
– senza una causa apparente, quale esito di disturbi neurologici (es., epilessia) o neuroendocrini (es., ipertiroidismo, ipoglicemia).
La violenza domestica, in sintesi, è un tipo di condotta che, lentamente e progressivamente, può assumere nel tempo connotazioni di tale aggressività da sfociare nell’assassinio di un proprio familiare.
Seguendo le statistiche dell’FBI (BJS, 1996), l’omicidio domestico è molto di più della “semplice uccisione” di un partner per mano di un congiunto poiché questo tipo di crimine, di solito, coinvolge più familiari. Infatti, da una ricerca condotta in Florida nel 1994 (Task Force, 1997) è emerso che nel 38% degli omicidi domestici ci sono state più vittime (multiple victims), ovvero omicidio della partner e di un figlio, seguito dal suicidio dell’intimate offender. In un altro studio, condotto a San Francisco dal 1995 al 1996, il 43% degli offender in ambito familiare si è suicidato dopo aver ucciso la coniuge (Hallilan T.U., 1997).
Tra i maggiori studiosi dell’omicidio domestico merita attenzione Donald G. Dutton per aver condotto delle ricerche sulla personalità violenta di alcuni uomini che mirano al dominio ed al controllo del partner mediante abusi, prevaricazioni e violenze di ogni genere. Questo tipo di persona suscita incredulità in conoscenti ed amici quando questi ultimi scoprono il suo “lato oscuro”. Un esempio è il giocatore di football americano O.J.Simpson, accusato dell’omicidio dell’ex moglie Nicole Brown Simpson e del suo nuovo compagno Ronald Goldman. Il Simpson venne descritto da Dutton, durante il processo, come un individuo dalla “doppia personalità” cioè un “Dr Jeckyll/Mr Hyde”:
«per i suoi adorati fans, O.J. ha rappresentato un supereroe, una leggenda…uno dei più grandi professionisti neri della storia del football…Con sorpresa noi tutti apprendiamo che il nostro supereroe era stato un marito violento. Nicole Brown Simpson continuò a subire violenze, aggressioni fisiche e atti vandalici anche dopo il divorzio e, nonostante avesse chiesto aiuto al 911, non riuscì a sottrarsi alla furia omicida dell’ex marito O.J.» (Dutton, 2007, pag. 144).
Va precisato che il Simpson è stato prosciolto dall’accusa di duplice omicidio, suscitando nella maggioranza degli americani enormi perplessità per la sua assoluzione. In questo caso, come in tanti altri, non si dovrebbe parlare di “doppia personalità” ma di soggetto che agisce con l’intento di nascondere alla maggioranza delle persone la sua natura violenta.
Si conclude questo post con gli studi di Websdale (1999), Turvey (2001) e Dutton (2007), nei quali si evincono una serie di elementi, rintracciabili nella “storia” e nello stile di vita del partner violento, che incrementano il rischio (basso, medio o alto) di una persona di essere assassinata:
1. caratteristiche personologiche (es., arousal proneness ovvero una predisposizione caratteriale a reazioni violente a stimoli anche di lieve entità; deficit dell’autocontrollo; disturbo esplosivo intermittente, caratterizzato da episodi di discontrollo degli impulsi la cui intensità è chiaramente eccessiva rispetto agli eventi scatenanti, con manifestazioni aggressive verso le persone e/o distruzione di proprietà altrui);
2. disturbi psicopatologici (es., psicosi, depressione), e di personalità (es., narcisismo, borderline, antisociale);
3. problemi di alcolismo o di tossicodipendenza;
4. atteggiamento dominante e di controllo (es., gelosia patologica, stalking);
5. precedenti episodi di violenza (maltrattamenti, abusi e violenze);
6. pericolosità sociale (comportamenti delinquenziali e/o precedenti giudiziari per altri tipi di reato);
7. conflittualità con la partner per l’affidamento dei figli;
8. modificazione dello stile di vita (es., separazione, licenziamento, cambio di residenza, pensionamento).
Vale la pena sottolineare, inoltre, che non sempre un comportamento violento si presenta come un fulmine a ciel sereno, come comunemente si tende a credere, poiché detta condotta, in diversi casi, è preceduta da una serie di segnali (prodromi) che, se non minimizzati o volutamente ignorati, avrebbero potuto lasciar presagire la messa in atto di una condotta aggressiva. Chiaramente, la possibile prevedibilità di alcuni comportamenti violenti non deve condurre ad ipotizzare che tutte le condotte aggressive possono essere preventivamente identificate poiché alcune di esse esplodono improvvisamente, con una reazione di collera, non solo a seguito di condizioni temporanee a carattere avversivo (stress, ansia, frustrazione, ecc.) ma anche del significato attribuito dall’aggressore ad uno stimolo generico o di scarso impatto emotivo (es., una condizione di forte attivazione neurofisiologica può alterare la capacità percettiva di un soggetto; l’interpretazione del momento presente può essere determinata da condizionamenti ambientali e/o culturali; l’input può riattivare uno stato emozionale legato ad una “rimossa” pregressa esperienza traumatica). Beninteso, non sempre una risposta violenta è conseguenza del “qui ed ora” (momento contingente) poiché quest’ultimo potrebbe essere addirittura assente come, ad esempio, nell’insufficienza surrenalica da compressione secondaria del surrene (processi autoimmuni e infettivi), nell’ipertiroidismo (disforia, insonnia, irritabilità e labilità affettiva) e nell’ipotiroidismo (disforia e ansia), nell’iperparatiroidismo da adenoma, carcinoma o iperplasia (irritabilità, labilità emotiva, agitazione psicomotoria) (Gilberti F., Rossi R., 1996), nelle crisi ipoglicemiche (oltre ai sintomi classici di una ipoglicemia quali palpitazioni, sudorazione, tremori e crampi da fame, vi sono segni premonitori da ipoglicemia imminente tra cui ansia, senso di disagio, derealizzazione, depersonalizzazione, senso di ubriachezza, cambiamento di umore, iperattività, ipervigilanza ed eccitazione, sino ad irritazione e comportamenti aggressivi conseguenti ad una crisi ipoglicemica) (Diabetes Education Study Group – DESG – della European Association for the Study of Diabetes – EASD, 2008), nella carenza di tiamina o vitamina B1 (instabilità emotiva, irritabilità, rabbia e aggressività), nelle intolleranze alimentari o a certi additivi contenuti in alcuni alimenti (i sintomi possono variare da una lieve irritazione a psicosi gravi) (Kirschmann G.J., Kirschmann J.D., 2008). Un cenno, infine, merita la cosiddetta personalità epilettoide, ovvero temperamento esplosivo presente in circa il 20% degli epilettici, che si caratterizza per una combinazione di tratti «simil-ossessivi ed ipercontrollanti» e di «discontrollo improvviso degli impulsi»: «rigidità, egocentrismo, “vischiosità” nel contatto interpersonale, religiosità, chiusura sociale, egoismo, eruzione esplosiva di emozioni e reazioni di rabbia estrema a seguito di frustrazioni». Molti personaggi di Fiodor Dostojewskji appartengono a questa “tragica” tipologia clinica.