Bruno C. Gargiullo e Rosaria Damiani
“Il termine psicopatia designa in generale le affezioni morbose della psiche e lo psicopatico non è nient’altro che il malato o l’infermo della psiche. Tuttavia alcuni psichiatri stranieri danno al termine psicopatia un significato più ristretto e con esso indicano i soggetti le cui facoltà mentali sono normali, ma che presentano squilibri, turbe caratterologiche e perversioni che sembrano costituzionali” (Porot A., 1962).
Il concetto di psicopatia fu inizialmente inteso come un disturbo morale innato al quale lo psichiatra francese Pinel (1809) diede il nome di “mania senza delirio” (“manie sans delire”) o “follia parziale”, cioè un’anomalia del carattere espressa attraverso una perversione delle funzioni affettive e una cieca e marcata impulsività, che Esquirol, allievo di Pinel, chiamò “monomania istintiva” o “monomania impulsiva”, derivante da un’anomalia congenita dell’istinto.
La tesi costituzionalista del disturbo morale innato (“Mania senza delirio” di Pinel e “Monomania istintiva” o “impulsiva” di Esquirol) la si ritrova nei lavori della maggior parte degli psichiatri del XIX secolo: la “Follia dei degenerati” di Morel (1857) corrisponde alla “Moral insanity” di Pritchard (1835) ed alle “Moralistiche krankheiten” degli autori tedeschi della stessa epoca (Ey H., Bernard P. e Brisset Ch., 1986).
Alla fine dell’800, comunque, fu il concetto di “insania morale” a conquistare popolarità nel mondo medico, sebbene fosse osteggiato sia dalla Chiesa, secondo cui questo termine metteva in discussione il concetto di “libera scelta”, sia dai giuristi dell’epoca i quali temevano una deresponsabilizzazione dell’atto criminoso.
A questo “dibattito” sull’insania morale (o amorale costituzionale) prese parte il medico italiano Cesare Lombroso, precursore dell’antropologia criminale, che, suggestionato dalle teorie evoluzionistiche di Darwin, giunse ad ipotizzare che nel comportamento violento ed impulsivo del “criminale nato” si manifestassero gli antichi tratti caratteriali delle scimmie antropomorfe (es., orango, scimpanzé, gorilla).
Inoltre, il Lombroso, a seguito di studi fatti sul comportamento dei delinquenti comuni, tracciò un parallelo tra caratteristiche somatiche e comportamento deviante del criminale nato, affermando che “molti dei caratteri che presentano gli uomini selvaggi, le razze colorate, sono, anche, propri dei delinquenti abituali”:
- stigmate somatiche (…, poca capacità cranica, fronte sfuggente, seni frontali molto sviluppati, frequenza maggiore delle strutture medio – frontali, …, spessore maggiore dell’osso cranico, sviluppo enorme delle mandibole e degli zigomi, obliquità delle orbite, …, orecchie ad ansa o voluminose, …);
- stigmate comportamentali (ipoalgesia ovvero diminuzione della sensibilità al dolore, completa insensibilità morale, accidia, mancanza di ogni rimorso, imprevidenza che sembra a volte coraggio, coraggio che si alterna alla viltà, grande vanità, facile superstizione, suscettibilità esagerata del proprio io e perfino il concetto relativo della divinità e della morale) (Lombroso C., 1878).
Nel 1891, il medico tedesco Koch, nel suo lavoro dal titolo “Die Psychopatischen Minderwertigkeiter”, sostituì inizialmente il termine “insania morale”, per le sue spiacevoli e discutibili connotazioni, con il concetto di “inferiorità psicopatica”. Egli limitò la sua diagnosi a quei pazienti che non presentavano alcun ritardo o disagio mentale ma che, a causa di una predisposizione costituzionale, manifestavano gravi e rigidi disturbi comportamentali . Nella successiva edizione, lo stesso Koch sostituì il concetto di “inferiorità” con quello di “personalità” per evitare eventuali e valide critiche (“personalità psicopatica” ).
Altri studiosi, siamo all’inizio del ‘900, cercarono di dare una più chiara definizione del concetto di psicopatia per evitare, a causa della gran confusione che regnava intorno a questo termine, che questa categoria diagnostica si trasformasse in un contenitore dei più disparati disturbi (“cestino dei rifiuti”).
A questo tentativo di definire il concetto di psicopatia presero parte:
- Emil Kraepelin (“Lehrbuch der Psichiatrie” del 1915), che elencò sei tipi addizionali del disturbo di personalità quali l’eccitabile, l’instabile, l’eccentrico, il bugiardo, l’imbroglione e l’irascibile (Vakinin S., 2006);
- Eugene Kahn (1931), che ne indicò sedici tipi ed affermò che per personalità psicopatiche si devono intendere
“quelle personalità che sono caratterizzate da peculiarità quantitative nell’impulso, nel temperamento e negli strati del carattere”;
- David Henderson (1939), psichiatra scozzese, che nel suo libro, divenuto un classico, dal titolo “Psychopathic States”, postulò che gli psicopatici sono persone che
“per tutta la loro vita o relativamente dalla prima età adulta, hanno mostrato disordini della condotta di natura antisociale o asociale, di solito episodici o ricorrenti…”.
Questi tipi di individui, secondo lo psichiatra scozzese, non traggono beneficio né da condizionamenti sociali né da misure penali e mediche. Henderson, inoltre, descrisse tre tipologie di psicopatici: l’aggressivo (pericoloso per sé stesso e per gli altri, includendo gli epilettoidi, gli alcolizzati e i drogati), che si avvicina al concetto di insanità morale di Pinel e al concetto di inferiorità psicopatica di Koch e di Kraepelin; l’inadeguato (gruppo eterogeneo), che include gli schizoidi, gli isterici, gli ipocondriaci, i depressivi, i patologicamente bugiardi, gli irritabili e gli aggressivamente subdoli (autori di reati minori); il creativo (autocentrato, eccentrico e privo di senso morale), che risente delle teorie lombrosiane, la cui “genialità artistica” è espressione di una degenerazione ereditaria e, quindi, di un disturbo della funzionalità cerebrale. In breve, Henderson, pur definendo la psicopatia un disturbo prettamente comportamentale, non escluse l’esistenza di una base organica. A detto convincimento, lo studioso giunse dopo aver analizzato numerosi tracciati elettroencefalografici, che mostrarono l’alta incidenza delle anomalie cerebrali nel suo subtipo aggressivo.
– Hervey M. Cleckley, nel suo lavoro “The Mask of Sanity” (1941), ne delineò i tratti (insuccessi inspiegabili, sebbene dotato di un’intelligenza almeno nella media; intelligenza tecnica non alterata con buone capacità di ragionamento; assenza di ansia e di senso di colpa: condotta antisociale continua e inadeguatamente motivata; irresponsabilità; incapacità di distinguere il vero dal falso; intolleranza alle critiche; fallimento nell’apprendere e beneficiare dall’esperienza, in particolare dalla punizione; insensibilità alle relazioni affettive; reazioni inappropriate o bizzarre all’alcol; mancanza di insigth: risposte superficiali e impersonali alla vita sessuale; rarità del suicidio; schemi autodistruttivi persistenti). In sintesi, Cleckley, descrivendo questo personaggio dall’apparente sanità mentale, afferma: “… non abbiamo a che fare con un uomo completo, ma con qualcosa che suggerisce un riflesso sottilmente costruito, una macchina che può imitare perfettamente la personalità umana…”.
Nello stesso anno (1941), Karpman, pur avendo distinto la psicopatia in due tipologie ovvero in idiopatica (senza cause psicogene) e sintomatica (con evidenti cause psicogene), affermò che, comunque, la vera causa di questo disturbo è sempre da ricercare nell’attitudine costituzionale all’aggressività.
Questa convinzione, portata avanti per anni, sull’importanza della “predisposizione” costituzionale, quale causa “primaria” della psicopatia, non fu condivisa pienamente da Cleckley il quale reputò non corretta l’esclusione automatica dell’esistenza dell’elemento psicogeno per tutti quei casi in cui questo fattore non fosse individuabile.
Trascorsero molti anni da quando Pinel parlò di “mania senza follia” e, nonostante le numerose difficoltà, nel tempo si fece strada il concetto di “personalità psicopatica” che, pur avendo conquistato il consenso di numerosi studiosi del comportamento “deviante”, fu sostituito con “disturbi di personalità” (“Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali”, 1952).
Riferimenti bibliografici
Bruno C. Gargiullo e Rosaria Damiani, “Il crimine sessuale tra disfunzioni e perversioni”, FrancoAngeli Editore, Milano, 2008
Stephen H. Dinwiddie, “Psychopathy and Sociopathy: The History of a Concept”, April 2015, Psychiatric Annals 45(4):169-174