Adrian Raine- Richard Perry University Professor of Criminology & Psychiatry – Pennsylvania.
Recensione espressamente richiesta da Raine Bruno C. Gargiullo, International Scientific Review Journal of Criminology (Columbus, Ohio)
“Esiste una diretta correlazione tra anomalie strutturali e funzionali del cervello e comportamento criminale?
”Gli uomini non nascono uguali ed il loro diverso destino, almeno sotto il profilo della propensione alla violenza, non dipende unicamente dalle influenze familiari, sociali ed esperienziali.
Da quando la brain imaging ha permesso ai ricercatori di esplorare il cervello dei criminali violenti, comparandolo con quello delle persone “normali”, nuovi orizzonti si sono aperti alla ricerca in campo neurocriminologico, mettendo in risalto l’esistenza di basi neurobiologiche nel comportamento criminale e richiamando l’attenzione dei giudici sulla possibile applicazione delle neuroscienze in ambito penale.
Adrian Raine, professore presso l’Università della Pennsylvania ed autore di un nuovo lavoro “The Anatomy of violence – The Biological Roots of Crime”, può essere considerato un pioniere nell’ambito della neurocriminologia. Raine ha dedicato molti anni allo studio di imaging cerebrali di assassini (es., Donta Page, Antonio Bustamante) e, ancora oggi, sta dedicando tempo ed energie allo studio del cervello dei criminali violenti e degli psicopatici.
Nel suo lavoro l’autore fornisce una descrizione delle anomalie neurobiologiche che sono in stretta relazione con il comportamento criminale, considerando anche i fattori genetici ed ambientali che possono concorrere a tali anomalie. Pur non minimizzando l’influenza delle variabili sociali ed ambientali sul comportamento violento, lo studioso sottolinea l’importanza delle basi biologiche quali predittori di un futuro crimine e di un atto violento: “Così come c’è una base biologica per la schizofrenia, per i disturbi d’ansia e per la depressione, anche per le condotte violente sono presenti elementi neurobiologici che ne spiegano le recidive”.
“Credo che i detenuti non sono motivati a cambiare perché pensano di essere cattivi, malvagi. Ma se il comportamento criminale recidivo venisse reinterpretato come un disturbo, sarebbe possibile rendere i criminali stessi più propensi al trattamento”.
Da questo assunto ne discendono due importanti domande: Le sole anomalie strutturali e funzionali del cervello, anche se presenti sin dalla nascita, possono essere considerate “idonee” ad aumentare la probabilità che un individuo diventi una persona violenta e commetta un reato penale?
Questo individuo è pienamente responsabile dell’atto commesso?
Nel paragrafo “Mercy or justice – Should Page be executed?” (Grazia o giustizia – Page dovrebbe essere giustiziato?) del capitolo “The brain on trial” (Il cervello come prova) l’autore riporta il caso di Donta Page, afroamericano, che, all’età di 24 anni, rapinò, stuprò ed uccise una graziosa sua coetanea di razza caucasica.
Donta venne ritenuto colpevole di stupro e di omicidio volontario di primo grado e, per questo capo di imputazione, divenne un “candidato” alla pena capitale.
Come perito di parte, Raine sostenne il modello biosociale per spiegare la violenza perpetrata dal periziando.
La storia del giovane afroamericano è costellata di violenza ed abusi di ogni tipo (es., totale trascuratezza fisica ed emozionale materna; violenze fisiche materne per futili motivi con conseguenti traumi cerebrali ; ripetute e gravi violenze fisiche e sessuali, compresa la penetrazione anale, perpetrati a danno del piccolo Donta da “predatori” del quartiere), assenza di una figura maschile di riferimento e, da non trascurare, la sua esposizione ad agenti neurotossici (piombo), di essere stato concepito da una madre adolescente affetta da gonorrea e di presentare difficoltà di apprendimento, scarso funzionamento cognitivo (compromissione della memoria e della funzionalità esecutiva), bassa attivazione fisiologica (bassa frequenza cardiaca a riposo: assenza di paura e comportamenti a rischio) e scarsa funzionalità della corteccia orbitofrontale e prefrontale mediale con ridotta funzionalità del polo temporale.
Presentava, inoltre, una storia familiare di disturbi mentali (nonno materno sessualmente incestuoso: abusava sessualmente della figlia, madre di Donta, sin dall’età di quattro anni), padre tossicodipendente e con precedenti penali.
La tesi difensiva di Raine, secondo la quale le radici del comportamento criminale di Page erano da ricercare nella combinazione di fattori biologici e sociali (multicausalità), venne accolta dal collegio giudicante, composto da tre giudici, che condannarono l’imputato all’ergastolo e non più alla pena capitale.
Interessante, per meglio comprendere l’idea centrale del suo lavoro, riportare ciò che Raine stesso ha scritto “…Un bambino non chiede di nascere con delle complicazioni biologiche o con una disfunzionalità all’amigdala o con un gene responsabile del basso livello di MAOA (monoaminossidasi-A). Se questi fattori predispongono bambini innocenti ad una vita criminale, possiamo considerarli pienamente responsabili di future azioni criminali – condannandoli per i reati commessi? Essi hanno libertà di scelta nel senso stretto della parola?”.
E soprattutto, aggiungiamo noi, un bambino non sceglie di crescere in un ambiente familiare e culturale gravemente degradato, ovvero senza fattori protettivi.
A proposito dei fattori protettivi, Raine rappresenta se stesso quale possibile candidato ad un comportamento antisociale (bassa frequenza cardiaca a riposo, malnutrizione nell’infanzia, tratti antisociali adolescenziali, scansione cerebrale simile ad un serial killer) se non vi fossero stati dei fattori protettivi quali una famiglia amorevole, accudente e stabile. Può un fattore protettivo (es., una famiglia amorevole) preservare un bambino (“a rischio”) dal possibile sviluppo di un comportamento antisociale/violento?
Stabilire se il ruolo causale di quest’ultimo elemento (fattore socioambientale) sia maggiore, minore o uguale agli altri elementi (es., genetico, biologico, psicofisiologico) è cosa non facile. Né tantomeno è possibile stabilire se questo solo elemento sia sufficiente a favorire l’insorgenza, il mantenimento o l’esacerbazione di un comportamento deviante. Sicuramente il suo impatto su detto comportamento è diverso da caso a caso.
E’ bene sottolineare che l’organismo e l’ambiente forniscono gli elementi e le condizioni di base per la costruzione dell’organizzazione psichica e che quest’ultima regola l’azione di entrambi e le interazioni tra loro (meccanismo di feedback).
Comunque, le caratteristiche psico-comportamentali di ciascun individuo sono “espressioni” di una struttura neuro-anatomica che è il prodotto dell’interazione tra “natura e cultura”. Pertanto, tutti i comportamenti sono multifattorialmente determinati e l’eterogeneità riflette l’intervento di più fattori di rischio o di tutela.
In “The Anatomy of Violence”, Raine si tuffa nel cervello dei criminali violenti e degli psicopatici per scoprire le cause della violenza e dei comportamenti antisociali, giungendo alla conclusione che alla base dei comportamenti criminali, oltre all’elemento sociale ed ambientale, vi è un terzo elemento (l’altra faccia della medaglia) ovvero il neurobiologico (neurobiological marker).
Fornisce un’ampia disamina di come la genetica, la biologia, le strutture e le funzioni neurali, la socializzazione e l’ambiente possano influenzare la violenza e ne sono, a loro volta, influenzate (meccanismo di feedback o di retroazione).
“Noi oggi – scrive l’autore – sappiamo che circa tre chili della materia grigia è coinvolta in ogni cosa che facciamo – vedere, sentire, toccare, muoversi, parlare, emozionarsi, pensare, tastare e leggere. E se tutte le azioni ed i comportamenti derivano dal cervello, perché non lo possono essere anche i comportamenti violenti? Perché non l’omicidio?”.
Interessante, inoltre, è il tentativo di Raine di riabilitare la figura del padre fondatore dell’antropologia criminale, l’italiano Cesare Lombroso.
Infatti, il primo capitolo “Basic Instincts: how violence evolved” si apre con l’importante scoperta, fatta dal medico italiano, durante un’autopsia di routine del cranio del famigerato brigante calabrese Giuseppe Villella (1871), che cambiò radicalmente sia la sua vita che il corso della criminologia.
Cosa vide Lombroso, da stravolgerlo così tanto, nel cranio del Villella?
Egli evidenziò, alla base del cranio, una inusuale incavatura (che chiamò fossetta occipitale mediana) che interpretò come il riflesso di un piccolo cervelletto, o “piccolo cervello”, situato al di sotto dei due grandi emisferi cerebrali:
“mi sembra di vedere tutto in una volta, distinguendosi chiaramente illuminato come in una vasta pianura sotto un cielo fiammeggiante, la questione della natura criminale, che riproduce nel tempo civilizzato le caratteristiche non solo dei selvaggi primitivi, ma di tipi ancora più lontanamente bassi come i carnivori”.
Da questa singolare e quasi macabra osservazione, il Lombroso divenne il padre fondatore della criminologia, generando una teoria straordinariamente controversa che fece rapidamente clamore in tutto il continente.
La sua teoria ebbe due punti cardini: esisteva una base del crimine, che originava nel cervello, ed i criminali rappresentavano un ritorno evolutivo delle specie più primitive.I criminali, credeva il Lombroso, potevano essere identificati sulla base delle “stigmate ataviche”, o caratteristiche fisiche (…poca capacità cranica, fronte sfuggente, frequenza maggiore delle strutture medio-frontali, …spessore maggiore dell’osso cranico, sviluppo enorme delle mandibole e degli zigomi, obliquità delle orbite, …orecchie ad ansa o voluminose), affermando che “molti dei caratteri che presentano gli uomini selvaggi, le razze colorate, sono, anche, propri dei delinquenti abituali”. Basandosi sulle misurazioni di alcuni tratti, il Lombroso creò una rivoluzionaria gerarchia che poneva nella parte più alta gli ebrei e gli italiani del nord ed in quella più bassa gli italiani del sud, insieme ai boliviani e ai peruviani. Forse non a caso, in quel periodo storico vi era un più alto tasso di criminalità tra i più poveri del sud Italia, prevalentemente agricola, che rappresentava uno dei tanti “problemi del sud”, che assillavano la nazione italiana appena unificata.
Queste convinzioni, in parte derivate dalle teorie frenolologiche di Franz Gall (i bernoccoli sul cranio rivelavano un tipo di personalità dell’individuo), si diffusero in tutta l’Europa tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo. Esse furono discusse nei Parlamenti, all’interno delle pubbliche amministrazioni così come nelle università. Contrariamente all’apparenza, Lombroso era un noto intellettuale benpensante, così come un convinto sostenitore del partito socialista italiano. Desiderava migliorare la sua ricerca per metterla al servizio della collettività. Aborriva il castigo ponendo, invece, maggiore attenzione alla punizione per la protezione della società.
Sosteneva fortemente la riabilitazione degli offender. Inoltre, a quel tempo credeva fermamente che i “criminali nati” erano, per parafrasare Prospero di Shakespeare, “un demonio, un demonio nato, sulla cui natura non c’è educazione che tenga” e, di conseguenza, era favorevole alla pena di morte per questa tipologia di criminale. Probabilmente, proprio per queste vedute, il Lombroso diventò impopolare negli annuali della storia criminologica. La teoria si rivelò essere socialmente disastrosa, alimentando il movimento eugenetico dei primi anni del ventesimo secolo e influenzando direttamente la persecuzione degli ebrei. Le conclusioni ed il lessico delle leggi razziali di Mussolini del 1938, che escludevano gli ebrei dalle scuole pubbliche e dai diritti di proprietà, hanno un debito retorico agli scritti e alle teorie lombrosiane, così come ai suoi seguaci dei primi anni del ventesimo secolo. Le più importanti differenze, evidenti nelle leggi di Mussolini, si basavano sul fatto che gli Ariani prendevano il posto degli ebrei sulla scala più alta della gerarchia razziale, mentre gli ebrei venivano relegati nella scala più bassa insieme agli italiani del sud e agli africani. Una terribile ironia, un fatto attentamente evitato in molti riferimenti al Lombroso da parte dei testi criminologici contemporanei, è che egli era ebreo.
Comprensibilmente, il pensiero lombrosiano cadde in discredito nel ventesimo secolo, venendo sostituito da una prospettiva sociologica sul comportamento umano, incluso il crimine, che è ancora dominante oggi. Non è troppo difficile vedere come tale propensione verso il sociale, a scapito del biologico, sia ancora esistente. Il crimine, dopo tutto, rappresenta una costruzione sociale. Esso viene definito dalla legge e dai processi socio-legali che dominano sulla condanna e sulla punizione. I cambiamenti legislativi, nel tempo e nello spazio, influenzano le azioni, quale ad esempio la prostituzione, che sono considerate illegali in un paese ed essere considerate legali e condonabili in altri.
Ma allora come può essere possibile un contributo biologico e genetico alla costruzione sociale? Una data causazione sociale deve essere centrale per il crimine?
Questo semplice argomento ha rappresentato un caso interessante per un esclusivo approccio sociologico e socio-psicologico al crimine, una base apparentemente solida su cui costruire i principi operativi per il controllo sociale e l’intervento.
Molti anni sono trascorsi da quando Cesare Lombroso, padre fondatore dell’antropologia criminale, orientò le sue ricerche al delinquente piuttosto che al delitto, sostenendo che era cruciale studiare il corpo del criminale, ovvero i caratteri anatomici dei delinquenti, senza trascurare, naturalmente, i fattori personali (es., sesso ed età), sociali (es., condizioni economiche), fisici e climatici (es., temperatura, traumi e malattie fisiche) e psichici (es., imitazione e suggestione).
“Cosa posso fare per ridare dei diritti al Lombroso? Di certo rifiuto la scala evolutiva lombrosiana che pone gli italiani del Nord alla vetta più alta e quelli del Sud al posto più basso. Perchè sono per metà italiano, visto che mia madre era dell’Irpinia, e non rappresento di certo un ritorno al passato evolutivo. Ed ancora, a differenza degli altri criminologi, sono convinto che il Lombroso, pur avendo inciampato, come ha fatto, nella sua offensiva sugli stereotipi razziali, avendo armeggiato centinaia di macabri teschi di detenuti che aveva raccolto, ha rappresentato un cammino verso una verità sublime. Ora, vedremo come hanno fatto i moderni sociobiologi per rendere un simile argomento di gran lunga più coerente e convincente, ciò che il Lombroso in parte non avrebbe mai potuto fare ai suoi tempi, nei quali le radici evolutive della criminalità rappresentano le fondamenta per le basi genetiche e cerebrali del crimine – l’anatomia della violenza. Esploreremo la violenza nelle sue varie forme, dall’omicidio, all’infanticidio, alla violenza sessuale, e proporremo una prospettiva antropologica di come le diverse nicchie ecologiche possono aver dato luogo ad uno dei massimi comportamenti egoisti e truffatori – la psicopatia” (in “Istinti di base: come la violenza evolve”, traduzione e riadattamento di Adrian Raine, “The Anatomy of Violence”, Pantheon, 2013).
“Allora, perché alcune persone presentano una probabilità un centinaio di volte più elevata di essere assassinate il giorno stesso in cui sono nati, oltre che ad essere uccisi in un giorno qualunque della loro vita? Perché esiste una probabilità cinquanta volte più elevata di essere uccisi da un patrigno piuttosto che dal padre biologico? Perché alcuni uomini, non contenti di violentare solo delle persone estranee vogliono stuprare anche le loro mogli? E perché sulla terra alcuni genitori uccidono i loro figli?”
Questo lavoro si chiude con una vera e propria provocazione. Raine prevede che nel 2034 la neuro criminologia sarà la base per la prevenzione della criminalità. L’acronimo LOMBROSO (Legal Offensive on Murder: Brain Research Operation for the Screening of Offenders – Offensiva legale contro il crimine: operazione di ricerca sul cervello per lo screening degli offender) è un programma che prevede l’obbligo della scansione celebrale e del test del DNA per tutta la popolazione adulta maschile. Successivamente, il programma viene esteso anche ai bambini di 10 anni al fine di identificare l’eventuale presenza di fattori di rischio per un loro futuro criminale. Indipendentemente dalla provocazione o meno di questo tipo di programma, teniamo a sottolineare che la ricerca del benessere sociale non deve servire come giustificazione per un programma di così vasta portata che non tiene conto della libertà individuale. Inoltre, l’attuazione di un tale programma non può essere solo una questione di dati scientifici disponibili, ma una questione di processo decisionale democratico.
Domanda conclusiva:
Può una persona essere “internata e curata”, senza un suo libero ed esplicito consenso, per una sua pericolosità sociale, supposta unicamente sulla base di indagini neurobiologiche? (es., LP-S – Lombroso – positive – Sex, ossia positivi alla violenza di tipo sessuale, LP-H – Lombroso positive – Homicide)