Bruno C. Gargiullo e Rosaria Damiani
Il 29 maggio del 2008, il serial killer francese Michel Fourniret (4 aprile 1942-10 maggio 2021), soprannominato l’Orco delle Ardenne, è stato condannato a due ergastoli per l’uccisione di sette ragazze (età compresa tra i 12 e i 21 anni), dopo averle rapite e seviziate (Francia e Belgio, tra il 1987 e il 2001).
Anche la moglie Monique Olivier, ritenuta complice, è stata condannata all’ergastolo, con una pena di sicurezza di ventotto anni, prima dei quali non avrebbe potuto usufruire di sospensioni della pena, permessi di uscita, libertà condizionale o semi libertà.
Fu l’ultimo tentativo di sequestro a incastrare Fourniret.
In Belgio, nel 2003, una ragazzina riuscì a liberarsi e a fuggire dal suo furgone, fornendo alla polizia il numero di targa. L’uomo confessò i suoi crimini.
La moglie Monique Olivier (M.O.) aiutò il marito a scegliere e a catturare le vittime, nascondendone poi i corpi. L’uomo chiese clemenza per lei, descrivendo la coniuge una “povera donna, incapace di fare del male” e attribuendosi l’intera responsabilità, descrivendosi una persona cattiva e priva di ogni sentimento. A scatenare i suoi istinti criminali sarebbe stata l’ossessione per la verginità, nata forse dalla scoperta che la prima moglie, al momento del matrimonio, non era vergine.
Secondo gli esperti, Michel Fourniret (M.F.) venne considerato «incurabile» ed «estremamente pericoloso», mentre la moglie avrebbe potuto seguire un percorso psicoterapico per un possibile recupero.
Valutazione psichiatrica
M.F. venne sottoposto a periodiche perizie da psicologi e psichiatri prima e dopo le varie condanne. Ogni qualvolta veniva rilasciato, l’uomo interrompeva sistematicamente i trattamenti psicoterapici richiesti dalla Corte.
Nella prima perizia psichiatrica (1987), l’uomo venne descritto una persona impulsiva, antisociale, manipolativa e ingabbiata in una visione idiosincratica, interamente focalizzata sulla verginità e sulla Vergine Maria.
Giustificò il suo interesse per le giovani vergini affermando cinicamente che era attratto dalla loro “membrana tra le gambe” (imene).
Risultato delle diverse perizie (2003-2008): soggetto freddo, non ansioso e molto gentile; non presentava alcun deficit cognitivo ed era mentalmente rapido nel rispondere alle domande; arrogante, manipolativo, retorico nell’eloquio (citava spesso grandi filosofi e scrittori francesi), non aveva alcuna difficoltà nel parlare dei suoi omicidi, descrivendo in dettaglio la dinamica di alcuni dei suoi crimini. Nonostante l’ammissione della sua colpevolezza, regolarmente tendeva a “mischiare” la verità con la menzogna in riguardo agli omicidi e dove poter ritrovare i corpi delle povere vittime. Non fu particolarmente collaborativo quando si trattò di raccontare la sua vita e, in particolare, la sua infanzia.
Il quadro sopradescritto lascia intravedere chiaramente che trattasi di una personalità decisamente psicopatica.
In sintesi, la sua pericolosità sociale (tipica dell’assassino seriale, orientato al controllo e al dominio della vittima) la si può rintracciare:
- nel suo modo di mostrarsi accattivante da un lato (maschera di sanità mentale) e mortale predatore dall’altro;
- nell’essere abbastanza mobile nei suoi atti predatori;
- nella piena consapevolezza dei rischi che correva;
- nel fatto che maggiore era il rischio e più eccitante era la “sfida”.
Anche Monique Oliver venne valutata da diversi esperti mediante valutazione psicodiagnostica. Il risultato della perizia evidenziò la presenza di un quadro clinico tipico di una personalità, contraddistinta da tratti affettivi marcatamente instabili (dipendenza, disregolazione emozionale, isolamento sociale) e da assenza di ritardo cognitivo.
I periti conclusero che in entrambi non erano evidenti disordini mentali, sia al momento della valutazione che al momento della commissione dei reati. I coniugi non presentarono i criteri per una definizione legale di insanità mentale (che di solito si riferisce ad una chiara psicosi) ed erano in grado di distinguere il bene dal male nel momento in cui commisero i loro crimini e, pertanto, furono considerati colpevoli e condannati all’ergastolo.
Conclusione
Michel Fourniret ben rientra nella “sindrome del serial killer”, descritta da Joel Norris nel suo lavoro The killers next door (2002). M.F., come per la maggior parte dei criminali, non ha avuto una infanzia “perfetta” (padre alcolizzato ed affettivamente assente; madre abusiva e mentalmente instabile). Secondo la teoria di Norris, questi individui sono “programmati” (fattori biologici, psicologici, sociali e religiosi) a commettere un crimine.
L’uomo, già dalla sua prima infanzia, mostrò dei chiari “segnali di allarme” (indicatori di violenza): superficialità relazionale, isolamento e disabilità sociale, impulsività, aggressività, incuranza per le regole, crudeltà verso gli animali. Nella prima adolescenza, pur manifestando una intelligenza tecnica inalterata, M.F. iniziò a mostrare i seguenti “segnali di pericolosità sociale”: voyeurismo, ossessione per la verginità, precoci manifestazioni di sadismo e disordini della condotta, incremento nel numero delle aggressioni sessuali contro i minori a partire dal 1967.
Questa apparente normalità venne rinforzata quando M.F. iniziò ad avere una relazione con M.O., che poi divenne la sua terza moglie, che , in modo del tutto inusuale per questo tipo di offender, venne coinvolta nella commissione dei successivi reati.
Contrariamente alla maggior parte degli offender seriali, organizzati e solitari, il “nostro” predatore intrattiene inizialmente una relazione epistolare con MO, separata con due figli (1986). L’anno successivo, scarcerato per una condanna a cinque anni per aggressioni sessuali su minori, inizia una relazione di convivenza con Monique Olivier che, nel 1989, divenne la sua terza moglie. Questo incontro diede un avvio all’escalation criminale con sequestro, violenza sessuale e omicidio delle giovani vittime.
L’attrazione di questa donna (passiva e remissiva) nei confronti dell’uomo (dominante e manipolatore), che si era macchiato di reati sessuali, la collocherebbe nel quadro psicopatologico dell’ibristofilia, forma di relazione perversa che si traduce nella messa in atto, da parte della coppia, di gravi crimini (sequestri, sevizie ed omicidi).