Bruno Carmine Gargiullo

La follia a due, o disturbo delirante condiviso, fu descritto per la prima volta da Lasegue e Falret nel 1873. Questo disturbo, generalmente, coinvolge due persone (dominante e sottomesso) legate tra loro da una stretta relazione. Il partner dominante, o induttore, è un soggetto affetto da un grave disturbo psicotico delirante (mistico, di grandezza e persecutorio) le cui assurde convinzioni vengono assorbite e pienamente condivise dal soggetto sottomesso. Tale condivisione può oltrepassare i confini diadici (coppia) coinvolgendo l’intera famiglia.

I protagonisti della storia

Caso risalente alla metà degli anni ’90

• SOGGETTO INDUTTORE: ragazza sedicenne, con diagnosi di schizofrenia, si “rappresentava” come la reincarnazione della Madonna;

• SOGGETTO INDOTTO: madre quarantenne che, coinvolta nel delirio mistico della figlia, eresse in casa un altarino su cui erano state poste un’immagine della Madonna e quella della figlia con delle candele attorno;

• VITTIMA DELLA FOLLIA A DUE: ragazzino di 9 anni che veniva perseguitato sia dalla madre che dalla sorella le quali avevano identificato in lui il demonio che avrebbe “attentato” alla vita della madonna (sorella). Infatti, il minore veniva costretto ad assaggiare ogni pietanza, preparata per la ragazza, temendo che il “demonio” potesse avvelenare il cibo;

• CAPOFAMIGLIA: assente da casa per motivi di lavoro (Germania).

Per liberarsi definitivamente del ragazzino, la madre decise di mandarlo in collegio. Informato da un amico delle decisioni riguardanti il minore, il padre tornò in fretta e furia a casa per bloccare questo trasferimento. A seguito dell’intervento dell’uomo, dilagarono le manie persecutorie della ragazza spingendola al suicidio, mediante impiccagione.

Il suicidio della ragazza produsse due risultati: sospensione dei comportamenti persecutori della donna e crollo emotivo del ragazzino il quale si sentì in colpa per aver augurato alla sorella la morte in più occasioni.

Da adulto, divorato dai sensi di colpa per non aver capito che la sorella era “malata e per le serie difficoltà sociali e relazionali (timore che gli altri potessero scoprire in lui il lato oscuro), chiese una consulenza psicologica e un conseguente trattamento psicoterapico.

Il trattamento, della durata di un anno e con un buon esito, si concentrò prevalentemente sulla decolpevolizzazione e sul training delle abilità sociali.

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