Bruno C. Gargiullo e Rosaria Damiani

L’epilessia, come definita dall’International League Against Epilepsy (ILAE, http://www.ilae.org) e dall’International Bureau for Epilepsy (IBE, http://www.ibe-epilepsy.org), è una disfunzione cerebrale caratterizzata da una predisposizione duratura a generare almeno due convulsioni a distanza 24 ore l’una dall’altra. Si può diagnosticare l’epilessia anche in presenza di una sola crisi convulsiva in quanto in un’alta percentuale di casi (60%) la seconda crisi può presentarsi nei successivi 10 anni (Waxman SG and Geschwind N., 1975). Le manifestazioni sindromiche (imprevedibilità dell’attacco e convulsioni) venivano associate a esperienze religiose e di possessione, anche demoniaca (Labat R, 1951).

Questa breve panoramica ha analizzato l’excursus storico dell’epilessia attribuendone le prime descrizioni ad una tavoletta cuneiforme paleo-accadica di 4000 anni fa rinvenuta in Mesopotamia; In detta tavoletta venne incisa la descrizione di una persona con “la testa roteata a sinistra, le mani e i piedi tesi e gli occhi spalancati; dalla sua bocca usciva schiuma senza che ne avesse coscienza” (Labat R, 1951). Quasi un millennio dopo, i tardo babilonesi scrissero il più antico trattato di medicina (Sakikku), che riportava la descrizione e la categorizzazione di alcune manifestazioni comportamentali (convulsioni e perdita di coscienza) di quella che oggi può definirsi epilessia (Reynolds EH,2005).

Prove di questa sindrome neurologica sono state trovate anche nell’antico Egitto, come indicato dall’Edwin Smith Surgical Papyrus scritto intorno al 1700 a.C. Gli egiziani, contrariamente ai Mesopotamici, attribuirono questa patologia ad una “interruzione corticale” e non a entità sovrannaturali (divinità o demoni). Anche nella Cina, un gruppo di medici ha pubblicato il trattato Classico di Medicina Interna (risalente al 700 a.C.) dove venne riportato il caso dell’Imperatore Huang Di Nei Ching, affetto da crisi convulsive generalizzate.

L’origine divina/demoniaca della patofisiologia epilettica non subì particolari cambiamenti fino al quinto secolo Avanti Cristo, ovvero sino a quando la scuola di Ippocrate arrivò ad ipotizzare che il cervello potesse essere la sede causale di detta sindrome. Ippocrate considerò detto “Morbo Sacro” (per le sue caratteristiche uniche e inspiegabili) una vera e propria malattia neurologica prevalentemente ereditaria, da curare, sin dalle sue prime manifestazioni evitandone la cronicizzazione, come una qualsiasi altra malattia. Lo stesso Ippocrate fu il primo ad introdurre il concetto di epilessia post-traumatica, osservando casi di trauma cerebrale i cui sintomi convulsivi venivano a manifestarsi nella parte contro laterale del danno cerebrale subito [6]. Purtroppo, le sue ipotesi ebbero scarsa considerazione per molti secoli a venire, in quanto continuava a dominare l’ipotesi divina/demoniaca.

L’ipotesi Ippocratica dell’epilessia, come sindrome neurologica, iniziò a suscitare interesse in Europa agli inizi del 17° secolo[4]. In proposito si citano:

Samuel Tissot (1728-1797), medico svizzero, pubblicò un lavoro (“Traité de l’épilepsie) nel 1770 (Eadie M, 2019) e, successivamente, il quarto volume di detto trattato, dal titolo “Traite des Nerfs et du leurs Maladies”

William Cullen (1710-1790), medico scozzese, affermò che la sede delle crisi epilettiche non era da attribuire unicamente al cervello ma anche ad altre parti del corpo, sottolineando che non tutte le convulsioni avrebbero condotto ad una perdita di coscienza (Patel P, Moshé SL, 2020; Cullen W, 1790)

Maisonneuve (1745-1826), medico francese, evidenziò la necessità di ricovero, per un efficace intervento, dei pazienti con diagnosi di epilessia.

Un cenno, infine, merita la cosiddetta personalità epilettoide, ovvero temperamento esplosivo presente in circa il 20% degli epilettici, che si caratterizza per una combinazione di tratti «simil-ossessivi ed ipercontrollanti» e di «discontrollo improvviso degli impulsi»: «rigidità, egocentrismo, “vischiosità” nel contatto interpersonale, religiosità, chiusura sociale, egoismo, eruzione esplosiva di emozioni e reazioni di rabbia estrema a seguito di frustrazioni». Molti personaggi di Fiodor Dostojewskji appartengono a questa “tragica” tipologia clinica. In Italia, Cesare Lombroso, nel suo libro “L’uomo delinquente” del 1876, dedicò all’epilessia un intero capitolo dal titolo “Il delinquente epilettico” nel quale affermò la possibilità che «ogni crimine possa essere il risultato di un attacco epilettico larvato e non apparente». Lo studioso cercò di dimostrare, quindi, l’assoluta equivalenza tra «criminalità, follia ed epilessia». «Secondo Ey H. et al. (1979) i tratti distintivi della personalità epilettoide oscillerebbero lungo il dipolo “vischiosità-esplosività” (Lega Italiana contro l’epilessia, 1992).

«Il tratto costante della “compressione”, cioè la lentezza, la perseverazione e la condizione di apparente ottusità induce occasionalmente reazioni esplosive con marcato stato di eccitamento. Il sistema pulsionale va incontro a raptus incontenibili che caratterizzano la violenza epilettoide (incendio, aggressione sessuale, omicidio). Secondo gli Autori citati non occorre soltanto sapere se i tratti della personalità epilettica sono ereditari o acquisiti, se sono reattivi o insorti in una formazione anatomo-fisiologica, come il rinencefalo: essi sono tutto questo ed altro, una maniera di vivere in rapporto con diversi processi organici. Considerazioni analoghe valgono anche per la caratteropatia osservata nei bambini e adolescenti con epilessia; le anomalie sono comprese nello stesso dipolo “vischiosità-esplosività” proprio della personalità epilettica e comprendono aggressività ostinata, azioni cattive e spesso perverse, rivolte in particolare contro la famiglia ma estese anche ai compagni e agli animali» (Iannaccone S., 2000).

In conclusione, nel corso del ventesimo secolo vi sono stati molti lavori, in campo psichiatrico, in merito alla “personalità epilettica” contraddistinta da impulsività, viscosità affettiva ed egocentrismo.

Recentemente, il Dr. Norman Geschwind ha introdotto le caratteristiche distintive del “disturbo epilettico di personalità” all’interno della comunità neurologica. Riteneva che un certo numero di caratteristiche specifiche della personalità fossero frequentemente osservate nei pazienti con epilessia del lobo temporale. Questi tratti includevano emozioni più profonde, pensiero circostanziale (eccessivamente dettagliato, con ritardo nell’arrivare al punto), crescente preoccupazione per le credenze filosofiche o religiose e un cambiamento nel comportamento sessuale. Il team, coordinato dal Dr. Geschwind, pubblicò queste osservazioni in un importante giornale del 1975. Successivamente, Bear e Fedio, estendendo le osservazioni del Dr. Geschwind, elencarono diciotto caratteristiche comportamentali normalmente evidenziati nei soggetti epilettici, ed in particolare nell’epilessia che colpiva il lobo temporale: Emotività, Maniacalità, Depressione e Senso di colpa, Mancanza di humour, Interesse sessuale alterato, Aggressività, Rabbia ed ostilità, Ipergrafia (scrittura eccessiva), Religiosità, Interesse filosofico, Senso del destino personale, Ipermoralismo, Dipendenza, Paranoia, Ossessione, Circostanzialità,Viscosità.

Gli studiosi erano convinti che dette caratteristiche comportamentali fossero la diretta conseguenza dell’epilessia del lobo temporale; le anomalie elettriche che caratterizzavano le crisi convulsive determinavano un’iperattività delle regioni limbiche coinvolte nella risposta e nella modulazione emotiva. Tuttavia, altri studiosi hanno riscontrato le stesse caratteristiche psicocomportamentali in altri soggetti affetti da altre condizioni psichiatriche. Pertanto, il Disturbo Epilettico di Personalità continua, ancora oggi, a generare pareri contrastanti (Benson DF., 1991), essendoci poche prove scientifiche sull’esistenza di uno stretto legame tra queste caratteristiche di personalità e l’epilessia stessa.

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