Traduzione, riadattamento e ampliamento, a cura di Bruno Carmine Gargiullo e Rosaria Damiani di “Neurocriminology: implications for the punishment, prediction and prevention of criminal behaviour”, di Andrea L. Glenn & Adrian Raine, 2014, volume 15, Nature, Macmillan Publisher.
La psicofisiologia indaga i correlati fisiologici dei processi psicologici, ovvero come i processi mentali (cognitivi ed emotivi) si riflettono nella dimensione fisiologica dell’individuo, attraverso la misurazione di parametri quali, ad esempio, attività elettrica cerebrale, ritmo cardiaco, pressione arteriosa, temperatura corporea, tono muscolare, riflessi, movimenti oculari, sudorazione cutanea. Tali misurazioni vengono effettuate mediante le seguenti tecniche di registrazione e di analisi: attività elettrica dell’encefalo (EEG o Elettroencefalografia), attività muscolare (EMG o Elettromiografia), movimenti oculari (EOG o Elettroculografia), attività elettrica del cuore (ECG o Elettrocardiografia), risposta galvanica cutanea (GSR), conduttanza cutanea (SCR), frequenza respiratoria e pressione arteriosa (sistolica e diastolica).Dunque, la psicofisiologia è lo studio della cognizione, del comportamento e delle emozioni nelle loro manifestazioni corporee. Gli indici psicofisiologici dell’attività autonomica, misurati con modalità di registrazione non invasiva, forniscono un immediato quadro dei cambiamenti fisiologici in risposta a stimoli esterni.In questo articolo, verranno presentati i risultati di alcuni studi scientifici volti ad indagare i correlati psicofisiologici del comportamento antisociale, fenomeno complesso e multicausale (interazione dei fattori bio-psico-sociali [1]).
In particolare, verranno presentati i dati conclusivi di un buon numero di ricerche, condotte su un campione di soggetti antisociali non violenti o autori di aggressioni di media gravità, sul basso livello di attivazione psicofisiologica di questi soggetti. Sin dal 1940 sono state condotte numerose ricerche con l’obiettivo di esplorare le basi psicofisiologiche del comportamento antisociale, delinquenziale, criminale e psicopatico. Su questi soggetti, infatti, sono stati avviati numerosi studi (più di 150) sull’attività elettrodermica e cardiovascolare e, altrettanto, sull’attività elettroencefalografica (EEG) (Gale, 1975). Purtroppo, questo campo d’indagine ha ricevuto poca attenzione in ambito criminologico e raramente le relative ricerche, unitamente ai risultati, sono state inserite nei testi criminologici.Nel prossimo articolo, per rendere più agevole la lettura di questo lavoro, verrà approfondita la tematica relativa alle funzioni svolte dalle onde elettriche cerebrali sul comportamento antisociale.Frequenza cardiaca a riposo. Una bassa frequenza cardiaca (indice di registrazione del grado di attivazione del sistema nervoso autonomo) a riposo è stata considerata un correlato biologico del comportamento antisociale in bambini e adolescenti. Detto indice è stato anche associato con il comportamento antisociale negli adulti, considerandolo uno dei fattori di rischio sia nei maschi che nelle femmine (Ortiz e Raine, 2004). Molti studi longitudinali hanno posto in luce il ruolo di tale indice nel predire lo sviluppo di un possibile comportamento antisociale negli adulti (Baker et al., 2009; Farrington, 1997; Raine, Venables e Mednick, 1997). Queste ricerche, avviate sulla base di diverse ipotesi di indagine, si sono focalizzate sul rapporto tra frequenza cardiaca e sub tipologie di comportamento antisociale (es., disturbo del controllo degli impulsi, disturbo della condotta). Secondo una delle teorie formulate (stimulation-seeking theory o sensation seeking theory, Zuckerman, 1979), alcuni adolescenti presentano un basso livello di arousal (ipoattività) e tale condizione psicofisiologica potrebbe essere un possibile indicatore di una bassa frequenza cardiaca e di uno stato di inquietudine. Per far fronte a questo stato di disagio, l’adolescente sarebbe spinto ad adottare strategie comportamentali antisociali volte ad aumentare il livello della frequenza cardiaca di base e a raggiungere una condizione più confortevole (Quay, 1965; Rayne, 1993). Di contro, una bassa frequenza cardiaca (indicatore biologico) potrebbe lasciar prevedere l’esistenza di una bassa reattività a stimoli ansiosi o minacciosi. Infatti, un bambino non pauroso potrebbe presentare una scarsa reattività alle punizioni sociali e ciò potrebbe interferire con l’acquisizione di una paura condizionata (associata alla punizione) e con lo sviluppo di una coscienza sociale, ovvero assenza di regole e di norme sociali (fearlessness theory; Raine, 1993, 2002). Va precisato che il basso livello di frequenza cardiaca interagirebbe con i fattori di rischio psicosociale, predisponendo lo sviluppo di un comportamento antisociale (Raine, 2002).Oltre alle numerose ricerche sulla bassa frequenza cardiaca a riposo, quale fattore di rischio per lo sviluppo di un comportamento antisociale, ve ne sono altre che hanno individuato nell’alta frequenza cardiaca a riposo una funzione protettiva. Riportando gli studi del Cambridge Study sullo sviluppo della delinquenzialità, Farrington (1997) osservò che soggetti diciottenni con alta frequenza cardiaca, considerati a rischio di azioni violente, non subirono, in età adulta, condanne penali. Ciò fu confermato da altre ricerche, condotte su campioni meno numerosi, che giunsero alle medesime conclusioni: gli adolescenti, ad alto rischio di pericolosità sociale e con una più alta frequenza cardiaca a riposo, erano meno inclini ad attuare condotte antisociali e violente (Lösel e Bender, 1997; Kindlon et all., 1995). Questi risultati avallano l’ipotesi che una elevata frequenza cardiaca a riposo possa svolgere una funzione protettiva impedendo ad un individuo di agire condotte antisociali (alta frequenza cardiaca a riposo = alto livello di apprensività). Alle stesse conclusioni sono giunte alcune ricerche condotte su altri indici psicofisiologici che misurano il livello di reattività emozionale quali, ad esempio, il tono vagale[2] (indice di regolazione parasimpatica = modulazione degli stati affettivi e del comportamento sociale) e la conduttanza cutanea[3] (misura diretta dell’attività simpatica, ovvero la variazione della resistenza elettrica della pelle provocata dai diversi stimoli emozionali).
Tono vagale. Il tono vagale è legato alla flessibilità autonomica, ovvero alla capacità del Sistema Nervoso Parasimpatico (SNP) di adattarsi ai diversi cambiamenti ambientali (interni ed esterni) modificando l’arousal (attivazione neurofisiologica), la respirazione, la frequenza cardiaca e l’attenzione (Porges, 1995; Friedman e Thayer, 1998). Le persone, con un alto livello di attivazione del tono vagale, presentano una maggiore adattabilità alle varie circostanze della vita in quanto dotati di notevole duttilità cognitiva (abilità prestazionali), inclusa la memoria di lavoro (Hansen et al., 2003), l’attenzione selettiva (Suess et al., 1994) e la procrastinazione della risposta (Johnsen et al., 2003; Mezzacappa et al., 1999). Inoltre, questi soggetti reagiscono, ai diversi eventi stressanti, con una contenuta affettività negativa, ovvero con un basso livello di ansietà, depressività, colpa, vergogna e rabbia (El-Sheikh et al., 2001), con efficaci abilità nel controllare emozioni e comportamenti e nel modulare l’espressività facciale (Demaree et al., 2004, 2006; Kettunen et al., 2000).
Vale la pena precisare che una rapida adattabilità può influenzare un comportamento in diversi modi. Per esempio, l’immediata capacità di recupero è un indice temperamentale di adeguamento alle varie circostanze (coping) e di apertura alla novità (Block e Kremen, 1996).In merito, invece, ad un basso livello di attivazione del tono vagale, diverse ricerche hanno posto in evidenza che detto livello potrebbe rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di un comportamento antisociale (Beeauchaine, Hong e Marsh, 2008; De Wied, Van Boxstel, Posthumus, Goudena e Matthys, 2009; Mezzacappa et all., 1997; Pine et all., 1998). Di contro, altri studiosi hanno rilevato l’ infondatezza di tali conclusioni, mettendo in evidenza un incremento, piuttosto che un decremento, del tono vagale in soggetti antisociali (Dietrich et all., 2007; Scarpa, Fikretoglu e Luscher, 2000; Scarpa, Haden e Tanaka, 2010). Ciò ha messo in dubbio l’esatta natura dei rapporti tra tale indice psicofisiologico e il comportamento antisociale. Tuttavia, nonostante ancora oggi non sia ben chiaro il ruolo assunto dal basso livello del tono vagale come fattore di rischio, l’alto livello del predetto indice, comunque, viene considerato un fattore protettivo proprio per il suo ruolo nella regolazione emozionale (monitoraggio, valutazione e modificazione della durata e dell’intensità della reazione emotiva per il perseguimento di un obiettivo = funzionalità sociale). Secondo alcuni studi, un alto livello del tono vagale proteggerebbe un bambino dal possibile sviluppo di problemi comportamentali esternalizzati (aggressività, impulsività, oppositività), che possono essere associati ad una marcata conflittualità genitoriale. Lo proteggerebbe, inoltre, dagli effetti dannosi derivanti dai problemi alcolici genitoriali e da altre forme di maltrattamento (El-Sheikh et al., 2001, 2005)[4].
In sintesi, una stabile regolazione emozionale favorirebbe nel bambino una efficace capacità di “resistenza” a condizioni familiari avverse (es., alta conflittualità genitoriale), di acquisizione di adeguate competenze sociali, di trarre beneficio (supporto affettivo ed emotivo) da contesti ambientali extrafamiliari (es., nonni, zii e/o insegnanti) e lo proteggerebbe dallo sviluppare seri problemi comportamentali. Viceversa, un basso livello del tono vagale, combinato con una qualsiasi forma di maltrattamento, può aumentare il rischio di favorire lo sviluppo di un comportamento aggressivo e violento proprio per la combinazione dell’esperienza avversiva con la disregolazione emozionale e comportamentale e con le limitate abilità sociali. Conduttanza cutanea.
“La cute, per le sue funzioni di difesa meccanica e immunitaria, per la sua importanza nella termoregolazione e nella eliminazione dei rifiuti del metabolismo e per la sua attività sensoriale può essere considerata un organo complesso con importanti funzioni adattive e difensive. In quanto tale, esso possiede una ricca innervazione vegetativa e reagisce in modo estremamente sensibile a stressor di varia natura che comportino un’attivazione emozionale, ed è per questa ragione che l’attività vegetativa della cute è stata utilizzata da molto tempo come una misura di attività neurovegetativa cerebrale. Una delle prime misure ad essere utilizzate è stata la valutazione delle variazioni della resistenza o della conduttanza elettrica cutanea. Questa misura è ottenuta applicando a due punti della cute una corrente elettrica continua di debole intensità e misurando le variazioni di voltaggio che si verificano a varie stimolazioni. Questa risposta, denominata GSR (Galvanic Skin Response) impiega da 0.5 a 5 secondi per manifestarsi e da 1 a 30 secondi per estinguersi, può essere misurata sia attraverso variazioni di resistenza che di conduttanza cutanea, e compare in conseguenza di stimoli estremamente vari che vanno da un semplice rumore improvviso ad una stimolazione emozionale di carattere psicosociale” (tratto da Pancheri P., “Stress, emozioni, matattia. Introduzione alla medicina psicosomatica, Mondadori, Milano, 1989). In merito all’attivazione del sistema nervoso simpatico, Adrian Raine (2013)[5] ha revisionato alcuni studi che hanno posto in evidenza la relazione esistente tra bassa frequenza di conduttanza cutanea (indice di misura diretta dell’attivazione del sistema nervoso simpatico) e condotte antisociali. Pertanto, un basso livello di attivazione della conduttanza cutanea (SCL – Skin Conductance Level), in presenza di stimoli emozionali, è stato considerato un indicatore psicofisiologico (marker) di assenza di paura, di scarsa inibizione degli impulsi aggressivi e difficoltà nel trarre insegnamento dall’esperienza (processo attenzionale) ovvero come evitare una punizione (Raine, 2005; Shannon et al., 2007; van Goozen et al., 2007).
Raine nel 2005 ha affermato che una bassa attività del sistema nervoso simpatico (decremento dell’attività e della reattività autonomica), come indicato dal livello di conduttanza cutanea, combinata con uno stile familiare abusivo, aumenterebbe il rischio di condotte aggressive. Mentre l’alto livello di conduttanza cutanea potrebbe svolgere un ruolo protettivo. Erath, El-sheikh e Cummings (2009) hanno individuato, soprattutto nei ragazzi, una significativa relazione, in presenza di una bassa reattività del livello di conduttanza cutanea, tra stile familiare disfunzionale e problemi comportamentali esternalizzati. Pertanto, la combinazione di un qualsiasi tipo di maltrattamento con un basso livello di conduttanza cutanea potrebbe rappresentare un fattore di rischio per un bambino, in quanto detto livello indicherebbe un basso tratto di ansia e di inibizione. In altre parole, il decremento della reattività autonomica, associato ad esperienze traumatiche e a modelli familiari violenti, favorirebbe lo sviluppo di uno scarso controllo comportamentale (aggressività esternalizzata). Di contro, l’alta reattività del livello di conduttanza cutanea potrebbe anche essere considerato un fattore di vulnerabilità per gli effetti del conflitto coniugale sulle manifestazioni comportamentali. L’alta reattività del livello di conduttanza cutanea indicherebbe la presenza di una maggiore sensibilità e di un incremento dei meccanismi di difesa ai conflitti interpersonali (fattore di stress).
Riassumendo, sia il basso che l’alto livello di reattività della conduttanza cutanea incrementerebbero il legame tra maltrattamento e aggressività. Comunque, la presenza di una elevata attivazione autonomica ridurrebbe lo sviluppo di una condotta antisociale o criminale in un individuo, potenzialmente a rischio, per una sua marcata apprensività nei confronti di una eventuale punizione sociale.
E’ da precisare che gli studi condotti sugli effetti protettivi di tale livello di attivazione autonomica sono limitati ed ancora poco esplorati.
Note
[1] Scarpa A.L., Raine A., Psychophysiology of anger and violent behavior, Psychiatr Clin North Am. 1997, Jun, 20(2):375-94.
[2] Il nostro sistema nervoso vegetativo o autonomo (indipendente dalla volontà) si basa su un delicato equilibrio di trasmettitori chimici, liberati nei nostri organi, soprattutto nell’apparato cardiocircolatorio, respiratorio e digestivo. Il rilascio chimico è opera di una fitta rete di terminazioni nervose che costituiscono il “sistema simpatico”. Il sistema simpatico si divide in ortosimpatico e parasimpatico (o vagale), in relazione alle sostanze prodotte e liberate dalla terminazione nervosa: acetilcolina nel caso del parasimpatico e sostanze adrenergiche per l’ortosimpatico. Se viene stimolato il sistema vagale (es., emozione, trauma, forte sensazione di dolore) si può avere una “crisi vagale” con abbassamento della pressione arteriosa fino allo svenimento (lipotimia), diminuzione della frequenza cardiaca, aumento della sudorazione, della salivazione, della lacrimazione e della secrezione gastrica, incremento della peristalsi intestinale, nausea e talora conati di vomito). In breve, l’alto livello del tono vagale indica uno stato di calma ed una capacità di gestire al meglio le situazioni, mentre un ridotto tono vagale è indicatore di molte malattie e complicanze (es., cardiovascolari, dismetaboliche, psicologiche, comportamentali, gastrointestinali, degenerative). Porges in uno studio condotto nel 1992 presso l’Università americana del Maryland (“Research methods for measurement of heart rate and respiration”), ha proposto di stimare la forza del tono vagale dalla misura dell’aritmia del seno respiratorio (RSA) e di usare questo dato nella clinica quale indice di vulnerabilità allo stress. Egli mostrava come la RSA (modificazione della frequenza cardiaca correlata alla frequenza respiratoria) abbia un’origine neurale e rappresenti la forza del tono vagale nei confronti del cuore.
[3] Gli stimoli emozionali esterni (es., rumore improvviso, sospiro, frase o parola detta da qualcuno) provocano una caduta della resistenza elettrica in alcuni distretti cutanei, in particolare a livello palmare e della pianta dei piedi. Lo stesso effetto si può ottenere con stimoli emozionali interni, per esempio immaginare scene paurose, o comunque a contenuto emotivo. Questa risposta transitoria, che prende il nome di riflesso psico-galvanico, ha una forma d’onda caratteristica con un tempo di salita di circa 1-2 secondi ed un tempo di discesa più lungo. Il tempo necessario affinché il valore della resistenza elettrica ritorni al livello pre-stimolo è di circa 20 secondi. Questo effetto dipende anche dalla temperatura dell’ambiente e tende a scomparire se essa supera i 30 gradi. La temperatura ideale per registrare i riflessi psicogalvanici è di circa 20-28 gradi. Il valore assoluto della resistenza elettrica dipende dal grado di sudorazione delle mani e, quindi, dall’attività delle ghiandole sudoripare. Esistono sostanzialmente due tipi di attività elettrodermica, analizzabili in termini di resistenza elettrica:
1) l’attività tonica, che esprime il valore assoluto della resistenza elettrica cutanea, e costituisce un indice dello stato generale di attivazione del sistema nervoso dell’organismo. Il valore tonico è più alto se l’individuo è tranquillo e rilassato; se invece è agitato e nervoso, aumenta la sudorazione cutanea e si abbassa la resistenza elettrica della pelle;
2) l’attività fasica, cioè le rapide risposte provocate da stimoli a contenuto emozionale, sensoriale o ideativo, come descritto in precedenza.
[4] Qualsiasi forma di maltrattamento in età evolutiva, indipendentemente dalla natura (trascuratezza fisica ed emozionale, abuso psicologico, violenza psicologica, sessuale, fisica ed emozionale, disfunzionalità del legame di attaccamento parentale, conflittualità genitoriale), dall’intensità (lieve, moderata e grave) e dalla frequenza (situazionale, generalizzata) incide negativamente sullo sviluppo psicofisico del bambino e sulla modalità relazionale, producendo effetti devastanti che si possono tradurre in problemi comportamentali ed emozionali, includendo l’aggressività, la delinquenzialità e la depressione (Kendall-Tackett, Williams e Finkelhor, 1993; Margolin e Gordis, 2000; Widom, 1989). In breve, il maltrattamento si concretizza “in atti ed in carenze che turbano gravemente i bambini, attentano alla loro integrità corporea, al loro sviluppo fisico, affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di terzi”, come da definizione del IV Seminario Criminologico (Consiglio d’Europa, Strasburgo 1978). Si precisa che l’insorgere di un disagio o di un vero e proprio disturbo (ovvero di una condizione psicopatologica), a partire da una condizione di abuso o di grave trascuratezza, dovrebbe essere interpretato come l’esito di un processo complesso legato alla mancanza di equilibrio tra i fattori protettivi ed i fattori di rischio, dove i secondi risultano essere prevalenti e preponderanti rispetto ai primi nel corso della storia evolutiva di un individuo ed in un particolare momento del suo sviluppo. Comunque, non tutti i giovani maltrattati esibiscono problemi comportamentali ed emozionali. Molti studi hanno approfondito il ruolo di modulazione, svolto dal Sistema Nervoso Autonomo (SNA), degli effetti di esperienze stressanti (Katz e Gottman, 1995; Raine, 2005) in relazione all’aggressività ed al comportamento antisociale. E’ noto che un maltrattamento può interferire negativamente sulla regolazione affettiva e può indurre un bambino ad interpretare erroneamente, in chiave di minaccia, stimoli sociali ambigui rispondendo ad essi in modo aggressivo (Cullerton-Sen et al., 2008). Inoltre, un abuso traumatico può produrre rabbia e timori relazionali nonché una necessità di ricreare il trauma con l’aggressività (Haapasalo e Pokela, 1999).
[5] Jill Portnoy, Frances R. Chen e Adrian Raine, Biological protective factors for antisocial and criminal behavior, Journal of Criminal Justice, 41 (2013), 292-299