Bruno C. Gargiullo e Rosaria Damiani
Prima di entrare nel vivo dell’articolo, vale la pena specificare cosa è l’empatia. Empatia deriva dal greco antico εμπάθεια (empàtheia), ovvero sentimento e comunione affettiva mediante un processo di immedesimazione. Rappresenta una delle abilità fondamentali per creare relazioni sane e costruttive, indicando un rapporto di partecipazione emozionale nella relazione con gli altri favorendo, così, il flusso della comunicazione. In altre parole, l’empatia è la capacità di riuscire a guardare il mondo con gli occhi dell’altro.
Esistono tre tipologie di empatia:
• Cognitiva (assumere la prospettiva dell’altro per comprenderne pensieri, emozioni, intenzioni e azioni);
• Affettiva (sentire profondamente le altrui emozioni e stati d’animo come se fossero proprie. Il rapporto che si crea è più profondo e si è in grado non solo di comprendere ma anche di provare davvero dentro se stessi le sensazioni degli altri).
• Compassionevole (combinazione di empatia cognitiva ed emotiva che consente l’accettazione dell’altro e della sua realtà senza pregiudizi).
Ma cosa impedisce ad un soggetto di empatizzare con l’altro?
Sappiamo che la parte anteriore del cervello, la corteccia frontale, regola gran parte delle nostre capacità di pensiero e ragionamento. Allo stesso modo, intorno ai lati inferiori del cervello ci sono aree chiamate lobi temporali che controllano molti stati emotivi tra cui paura e rabbia. Dette funzioni sono state oggetto di studi per meglio comprendere le differenze esistenti tra i soggetti che presentano, per esempio, il disturbo narcisistico di personalità e i cosiddetti soggetti “normali”. Negli ultimi anni le neuroscienze hanno fatto grandi progressi nello scoprire quelle aree cerebrali (es., corteccia insulare e cingolato anteriore) che maggiormente ci consentono di entrare in sintonia con l’altro, sperimentando la medesima emozione.
La corteccia insulare, composta da una complessa rete di neuroni, riceve input (segnali) dai diversi sistemi sensoriali associati all’emozione e all’empatia nonchè proiezioni dal nervo glossofaringeo coinvolto nella sensazione del dolore, nella degustazione, nella deglutizione e nelle secrezioni salivari. I neuroni insulari rispondono anche alla stimolazione del nervo vago che ha importanti funzioni all’interno del sistema nervoso autonomo come, ad esempio, i cambiamenti nella frequenza cardiaca associati ad eventi emotivi.
Negli esseri umani, la corteccia insulare ha connessioni afferenti ed efferenti critiche con altre regioni della corteccia, inclusi i lobi frontali, parietali e temporali; il giro del cingolo; e strutture sottocorticali come l’amigdala, il tronco encefalico, il talamo e i gangli della base. In questo modo, la corteccia insulare è in grado di ricevere, elaborare e trasmettere segnali che regolano importanti funzioni emotive legate ai nostri sistemi sensoriali, motori ed autonomici.
La corteccia insulare è stata comunemente associata a rappresentazioni somatotopiche di stati corporei come prurito, dolore, temperatura e tatto. Inoltre, gli studi di neuroimaging mostrano costantemente che l’attivazione della corteccia cingolata anteriore è associata a disgusto, consapevolezza interocettiva, elaborazione emotiva generale, intuizione, senso della giustizia, rischio e incertezza e violazioni delle norme. La corteccia insulare nel suo complesso sembra formare un’immagine interna dello stato fisiologico della persona e trasmettere questi stati e bisogni per la propria consapevolezza dei sentimenti.
In conclusione, il disturbo narcisistico di personalità è presente in soggetti che si considerano speciali (senso ipertrofico del sé). Essi sono arroganti, presuntuosi, egocentrici e non disposti ad accettare la pur minima critica alla quale sono soliti reagire con risentimento ed esplosioni di collera. Se a tutto questo si aggiungono tratti paranoidi e/o tratti antisociali ci troveremmo di fronte a persone pericolose in quanto il “delirio di onnipotenza” potrebbe spingere questi soggetti a comportamenti decisamente ostili se non violenti. Per il narcisista “l’altro” è considerato unicamente come “strumento” di gratificazione dei suoi bisogni (atteggiamento predatorio).
Dunque, l’individuo con questo tipo di personalità agisce in assenza di sentimenti per gli altri, vive per se stesso e per i propri bisogni ed ha come unica preoccupazione la “cura della propria immagine”. Se oltre alle caratteristiche comportamentali sopradescritte fossero presenti la triade oscura (megalomania, machiavellismo e smania di potere), i tratti antisociali (indifferenza, più o meno marcata, verso i sentimenti e la sofferenza altrui, mancanza di scrupoli e di rimorsi, non tolleranza alle frustrazioni) e sadici (crudeltà psicologica, freddezza emotiva) verremmo a trovarci in presenza di un narcisista maligno.
Infine, nonostante il suo significato clinico e l’elevata prevalenza di detto disturbo, ancora oggi si conosce ben poco sulle sue matrici neurobiologiche (Ronningstam,2013). Tuttavia, recenti studi hanno evidenziato, in pazienti con disturbo narcisistico di personalità, anomalie neurofunzionali (riduzione della sostanza grigia) nell’area insulare anteriore, responsabile dell’empatia (Schulzeetal., 2013; Decety et al.,2012a; Decety and Moriguchi, 2007; Fan et al., 2011), così come nelle aree prefrontali della regolazione emozionale.
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